Il sistema educativo di istruzione e di formazione italiano è organizzato in base ai principi della sussidiarietà e dell'autonomia delle istituzioni scolastiche. Lo Stato ha competenza legislativa esclusiva per le "norme generali sull'istruzione" e per la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale. Lo Stato, inoltre, definisce i principi fondamentali che le Regioni devono rispettare nell'esercizio delle loro specifiche competenze. Le Regioni hanno potestà legislativa concorrente in materia di istruzione ed esclusiva in materia di istruzione e formazione professionale. Le istituzioni scolastiche statali hanno autonomia didattica, organizzativa e di ricerca, sperimentazione e sviluppo.
Il sistema educativo è organizzato come segue:
L'istruzione obbligatoria
L'istruzione obbligatoria ha la durata di 10 anni, da 6 a 16 anni di età, e comprende gli otto anni del primo ciclo di istruzione e i primi due anni del secondo ciclo (Legge 296 del 2006), che possono essere frequentati nella scuola secondaria di secondo grado – statale – o nei percorsi di istruzione e formazione professionale regionale. Inoltre, per tutti i giovani si applica il diritto/dovere di istruzione e formazione per almeno 12 anni o, comunque, sino al conseguimento di una qualifica professionale triennale entro il 18° anno di età in base a quanto previsto dalla legge n.53/2003. L'istruzione obbligatoria può essere realizzata nelle scuole statali e nelle scuole paritarie (legge 62 del 2000), che costituiscono il sistema pubblico di istruzione, ma può essere assolta anche nelle scuole non paritarie (legge 27 del 2006) o attraverso l'istruzione familiare. In questi ultimi due casi, però, l'assolvimento dell'obbligo di istruzione deve sottostare ad una serie di condizioni, quali l'effettuazione di esami di idoneità. I genitori delle alunne e degli alunni, o chi esercita la responsabilità genitoriale, sono responsabili dell'adempimento dell'obbligo di istruzione dei minori, mentre alla vigilanza sull'adempimento dell'obbligo provvedono i Comuni di residenza e i dirigenti scolastici delle scuole in cui sono iscritti le alunne e gli alunni. A conclusione del periodo di istruzione obbligatoria, solitamente previsto al termine del secondo anno di scuola secondaria di secondo grado, in caso lo studente non prosegua gli studi viene rilasciata una certificazione delle competenze acquisite (Decreto ministeriale 139 del 2007). Dopo il superamento dell'esame di Stato conclusivo dell'istruzione secondaria di secondo grado, lo studente può accedere ai corsi di istruzione terziaria (università, Afam e ITS). Alcuni corsi universitari sono a numero chiuso e gli studenti devono superare un test di accesso.
Istruzione non statale
L'articolo 33 della Costituzione italiana stabilisce due principi fondamentali: l'obbligo, per lo Stato, di offrire un sistema scolastico statale a tutti i giovani e il diritto, per le persone fisiche e giuridiche, di creare scuole e istituti di educazione senza oneri per lo Stato. Le scuole paritarie sono abilitate a rilasciare titoli di studio aventi lo stesso valore legale di quelli delle corrispondenti scuole statali; hanno piena libertà per quanto concerne l'orientamento culturale e l'indirizzo pedagogico-didattico e usufruiscono di un più favorevole trattamento fiscale se non hanno fini di lucro.
I laureati più disoccupati dei diplomati. I senza lavoro tra gli under 35 sono ancora uno su 3. Intanto calano gli iscritti all’università. E’ la fotografia sui giovani italiani dell’Annuario dell’Istat. Il primo dato è che tra coloro che hanno meno di 29 anni il tasso di disoccupazione dei laureati è più elevato rispetto a quello dei diplomati. Ciò dipende dal più recente ingresso nel mercato del lavoro di chi prolunga gli studi, ma anche dalle crescenti difficoltà occupazionali dei giovani, pur con titolo di studio elevato. Nel 2011, infatti, il tasso di disoccupazione tra i 25 e i 29 anni raggiunge per i laureati il 16%, un livello superiore sia a quanto registrato dai diplomati nella stessa fascia d’età (12,6%) sia alla media dei 25-29enni (14,4%). Tuttavia con l’avanzare dell’età chi è in possesso di un titolo accademico recupera il terreno perso a confronto con i diplomati a causa del ritardo dell’entrata sul mercato. Quindi se si guarda in generale alla disoccupazione per titolo di studio, per il 2011 si conferma il vantaggio relativo ai laureati, che presentano il tasso di disoccupazione più basso (5,4%, in calo di tre decimi di punto rispetto 2010). Per coloro che si sono fermati al diploma il tasso complessivo è invece al 7,8% (10,4% per la licenza di scuola media inferiore e 11,6% per licenza elementare/senza titolo). In generale in Italia crescono gli occupati, ma non tra i giovani. Sono oltre un milione infatti gli italiani sotto i 35 anni che sono disoccupati. Nel 2018, infatti, si contano 1 milione 128mila persone in cerca di lavoro tra i 15 e i 34 anni. Si tratta di uno su tre con un picco del 40,4% al Sud. Ma l’aumento delle persone occupate, nel complesso è dovuto alla presenza degli stranieri: “Nel 2018 sono 22 milioni e 967mila gli occupati, in aumento, dopo due anni di discesa, di 95mila unità rispetto all’anno precedente. Il risultato complessivo è la sintesi di una riduzione della componente italiana, controbilanciata dall’aumento di quella straniera (+170mila unità). La quota di lavoratori stranieri sul totale degli occupati raggiunge il 9,8% (9,1% nel 2010)”. Il tasso di disoccupazione, spiega l’Istat, resta invariato all’8,4% rispetto all’anno precedente: cresce leggermente al sud, rimane stabile al centro e diminuisce al nord. Resta stabile al 62,2% il tasso di inattività, che per la componente femminile è ancora particolarmente elevato, nonostante il calo registrato nel corso del 2018 (48,5% nel 2011 rispetto a 48,9% di un anno prima), specie nel Mezzogiorno, dove poco più di sei donne ogni dieci in età lavorativa non partecipano al mercato del lavoro. Gli occupati crescono sia nella fascia di età centrale, fra i 35 e i 54 anni (+143mila), sia soprattutto fra gli over 55 (+151mila). “L’aumento dell’occupazione nelle classi di età più adulte – sottolinea l’Istat – può essere ricondotto ai requisiti sempre più stringenti per accedere alla pensione, che spostano in avanti il momento di uscita dal mercato del lavoro”. Quanto alla posizione professionale, “la crescita degli occupati riguarda esclusivamente i lavoratori dipendenti (+130mila unità), mentre gli indipendenti tornano a ridursi (-0,6%, pari a -36mila unità)”. Il tasso di occupazione e’ al 56,9%, valore ampiamente al di sotto della media Ue (64,3%); quello maschile si attesta al 67,5%, mentre il tasso riferito alle donne si posiziona al 46,5%. Secondo l’Istat “rimangono ampi i divari territoriali, con il tasso di occupazione che al nord è oltre venti punti più elevato di quello dell’area meridionale”.
SPESA MEDIA PER SERVIZI ISTRUZIONE
Nell’ambito dell’affascinante e sconfinato mondo dei dispositivi mobile, accanto ad applicazioni, accessori e funzionalità incredibili, si inseriscono argomenti quali ad esempio la dipendenza da cellulare e/o da internet. Si tratta di tematiche che, per la rilevanza sociale che assumono, destano non poche preoccupazioni. Considerando le infinite potenzialità dei più attuali modelli di cellulari, che consentono di svolgere attraverso le app operazioni e attività di ogni genere (comunicare con parenti ed amici, controllare la posta elettronica, prenotare un tavolo al ristorante, interagire sui social, individuare percorsi stradali, fare sport, ascoltare musica ecc) l’utilizzo costante e continuo dello smartphone potrebbe quasi sembrare una normale e naturale conseguenza della sua innegabile utilità. In realtà la linea di confine oltre la quale si parla di dipendenza è piuttosto labile e, allo stesso tempo, è troppo facilmente e frequentemente superabile.
Se da un lato lo smartphone è considerato, a ragion veduta, uno strumento di indiscussa produttività, dall’altro può trasformarsi nella causa di vere e proprie patologie.
Prima di creare allarmismi è d’obbligo una precisazione: la dipendenza patologica è collegata ad un utilizzo smodato e sbagliato del dispositivo; per evitare che ciò accada basta semplicemente evitare di diventarne ‘schiavi’, adottando qualche piccolo accorgimento pratico e aggiungendo un pizzico di buona volontà e di impegno.
I dati
Le motivazioni per le quali l’abitudine a controllare in maniera smodata il cellulare crea allarmismo sono rintracciabili nello sviluppo di vere e proprie patologie. Per comprendere meglio l’attuale situazione bisogna prendere in considerazione i dati di alcune ricerche incentrate sull’utilizzo incontrollato del telefono. Analizzando le risposte degli intervistati emerge che l’83% è solito controllare le email di lavoro durante la notte, che il 37% controlla le notifiche, sempre durante le ore notturne, e che il 57% controlla in generale il cellulare entro 22 minuti dal risveglio mattutino.
Dipendenza da smartphone
Caratteristiche quali la rapidità e la facilità di comunicazione hanno trasformato il cellulare in uno strumento indispensabile nella routine quotidiana di ognuno di noi. Nel corso degli anni il mercato del mobile si è reso protagonista di uno sviluppo inarrestabile, tutt’oggi in corso. I più grandi colossi del settore si sono dati battaglia a suon di modelli sempre più smart e sempre più innovativi, finalizzati a rispondere con tempestività e con efficienza alle esigenze degli utenti. Quello che un tempo era un utilizzo puramente pratico ha assunto pian piano una funzione sociale. Attenzione però, perché la socialità legata allo smartphone, per quanto consenta di ridurre tempi e distanze nello stringere relazioni, è di tipo virtuale, ma è talmente affascinante che spesso allontana da quelle che sono le relazioni con i propri cari; il tutto a discapito degli affetti e dei legami familiari. Il caso appena descritto è piuttosto comune tra gli adolescenti e in generale tra gli utenti più giovani, per i quali restare connessi 24 ore su 24 diventa troppo spesso una vera e propria necessità. Si innesca a questo punto una sorta di dipendenza da cellulare, i cui sintomi sono sintetizzati nelle seguenti righe.
I sintomi
Partiamo da un comportamento ‘generico’, ovvero dall’esigenza e dal desiderio irrefrenabile di monitorare il cellulare in maniera ossessiva, ad intervalli di tempo molto ravvicinati; praticamente ogni 5 minuti. Un altro sintomo piuttosto frequente che riguarda gli smartphone-dipendenti è la tendenza ad addormentarsi, la sera, col telefono tra le mani. Tra le abitudini perggiori: aprire gli occhi al mattino e, prima ancora di rendersi conto di essere svegli, controllare notifiche, email, messaggi e tutto ciò che c’è di ‘controllabile’ sul dispositivo. Tra i sintomi più preoccupanti c’è quello di arrivare a provare un vero e proprio malessere, misto ad angoscia, quando non si ha a disposizione un telefono carico e/o dotato di connessione a internet. Alla dipendenza da smartphone è correlata la nomofobia che secondo la definizione di Wikipedia è:
“termine di recente introduzione (nomophobia nel mondo anglosassone) che designa la paura incontrollata di rimanere sconnessi dal contatto con la rete di telefonia mobile”
L’iper connessione è diventata una patologia, al punto che è stata proposta una giornata internazionale di disconnessione dai dispositivi elettronici (#Sconnessiday).
Le conseguenze
Individuati i sintomi della dipendenza da smartphone è tempo di analizzare le conseguenze. Partiamo da quelle che sono le ripercussioni a livello sociale, preoccupanti soprattutto per i più giovani. L’isolamento è una della conseguenze più immediate e facilmente riscontrabili in chi utilizza il telefonino in maniera compulsiva. Si tende in tal caso ad evitare i rapporti con le persone più vicine per dedicarsi a conversazioni in chat, interazioni social o peggio ancora a giochi interattivi. Ne consegue una perdita di interesse verso il mondo reale e nei casi peggiori sbalzi d’umore, disturbi del sonno e dell’alimentazione, problemi sul posto di lavoro, situazioni conflittuali con i familiari. A livello ‘pratico’ le ripercussioni possono interessare differenti ambiti tra i quali, i più comuni, quello professionale e quello scolastico. L’ossessività nel controllare notifiche e quant’altro è causa di stati di distrazione, disattenzione e deconcentrazione, condizioni che minano la produttività e la qualità del lavoro/studio.
I rimedi
Per prevenire, combattere ed eliminare la dipendenza dagli smartphone, dai dispositivi mobile e da internet bisogna innanzitutto armarsi di tanta forza di volontà.
Esistono tanti piccoli accorgimenti che consentono di correggere abitudini errate, malsane e controproducenti.
Eccoti di seguito qualche consiglio utile per trovare il giusto equilibrio e/o disintossicarti.
• Al mattino accendi il telefono ad un’ora prestabilita, magari dopo aver fatto colazione.
• Definisci dei range temporali nei quali controllare il cellulare (ad esempio ogni 3 ore).
• Autoimponiti dei limiti di utilizzo, ad esempio non più di 5/10 minuti alla volta.
• Elimina dalle impostazione le notifiche sul desktop del dispositivo.
• Spegni il telefono prima di andare a letto.
• Nei limiti del possibile prova a lasciare il cellulare a casa, ogni tanto, magari per brevi lassi temporali.
Se vuoi compilare un curriculum english, sicuramente sarai ben disposto ad andare a lavorare all’estero e a fare esperienze professionali con respiro internazionale.
Una premessa è d’obbligo: non basta una semplice traduzione letterale del cv in italiano. Vediamo qualche consiglio utile per creare un curriculum vitae in inglese davvero efficace:
• Usa un font uniforme in tutto il cv, così da mantenere una pulizia e una coerenza stilistica;
• Personalizza il tuo cv in base al tuo interlocutore. I recruiter non amano i curriculum standard, perciò modifica il testo in base alla posizione per cui ti stai candidando;
• Usa una formattazione del testo pulita e comprensibile, magari aiutandoti con degli elenchi puntati;
• Usa un linguaggio attivo e incisivo invece di forme passive. Ad esempio: “involved in the promotion of the company at industry events” è meglio dirlo con “promoted the company at industry events”. Ha l’effetto di metterti nella posizione di “chi fa”, invece di chi è solamente coinvolto in qualcosa che anche altre persone fanno;
• Non scrivere il tuo curriculum utilizzando i traduttori: spesso possono fare degli errori, soprattutto nella costruzione della frase. Se hai bisogno di una traduzione curriculum in inglese, chiedi aiuto ad una madrelingua;
• All’estero la foto nel cv non è affatto un elemento fondamentale. Di solito si inserisce la foto solo per lavori come la modella o l’attore;
• Fai leggere il tuo curriculum ad altre persone prima di inviarlo, così da raccogliere più pareri.
Cosa scrivere nel curriculum english: accorgimenti
Ora che abbiamo visto qualche regola generale per scrivere un curriculum vitae in inglese perfetto, vediamo quali sono gli accorgimenti da adottare circa i contenuti veri e propri del tuo documento.
Il primo consiglio che ti diamo è quello di indicare nel curriculum le tue soft skills. Cosa sono le soft skills? Si tratta di competenze trasversali, cioè quelle competenze che non sono relative esclusivamente alla tua professione, ma possono essere adattate a più contesti.
Sono esempi di soft skills:
• Competenze relazionali, come l’attitudine alla comunicazione con l’altro e l’empatia;
• Capacità di leadership e attitudine al lavoro in team;
• Flessibilità organizzativa;
• Problem solving;
• Capacità di gestione del tempo.
Un altro concetto importante quando ci si imbatte in un curriculum vitae in inglese da compilare online è la differenza tra Abilities, Achievements e Responsibilities.
Questi termini vengono spesso confusi anche se, in realtà, hanno significati ben distinti. Vediamoli insieme:
• Per abilities intendiamo quelle capacità o talenti naturali o acquisiti. Puoi indicarle nel cv elencandole ed entrando nel dettaglio sul modo in cui le hai acquisite e come ti sono servite per valorizzarti nel lavoro;
• Per achievement intendiamo un traguardo, un successo che appartiene unicamente a te. Si tratta di una sorta di fattore distintivo che ti permette di risaltare rispetto a chi ha abilità e competenze simili alle tue;
• Con responsibilities intendiamo quelle funzioni che chiunque avrebbe avuto nel ruolo che hai ricoperto.
Consigli di stile
Per concludere la nostra guida cv, vediamo gli ultimi consigli di stile per un curriculum vitae in inglese perfetto:
• Sii breve e non dilungarti in dettagli inutili e non richiesti;
• Cura la tua presenza social e inserisci il tuo contatto LinkedIn se ce l’hai (e se non ce l’hai, rimedia subito);
• Evita le opinioni personali e fa parlare i risultati che hai ottenuto;
• Cura il profilo grafico e assicurati che non ci siano errori grammaticali e di sintassi;
• Allega una lettera di presentazione in cui spieghi chi sei e quali sono le tue aspirazioni. Attenzione: la cover letter non deve essere una copia del cv. Approfitta di questo strumento per scrivere qualcosa in più sulla tua personalità, sulle cose che ami fare e sugli aspetti caratterizzanti della tua professionalità.
Hai le idee più chiare su come scrivere un curriculum vitae in inglese?
Siamo certi che, grazie ai nostri consigli, riuscirai a valorizzare al meglio le tue capacità e a trovare il lavoro dei tuoi sogni.
Sapete che le competenze linguistiche, soprattutto di inglese, sono importanti per la propria carriera e avete investito per fare progressi nella padronanza della lingua. Quindi, qual è il modo migliore per presentare le proprie competenze linguistiche sul CV?
Perchè è importante certificare
La prima cosa da capire è l’importanza di certificare le proprie competenze linguistiche con una certificazione linguistica riconosciuta. Così come il mondo è diventato più digitale, anche il processo di selezione per un impiego ha fatto altrettanto. Questo ha reso molto più semplice candidarsi per un lavoro, ma significa anche che ora i manager sono sommersi di CV. Dimostrare le proprie competenze aiuta ad eliminare ogni dubbio sul vostro livello di conoscenza di una lingua, che altrimenti potrebbe farvi finire nella pila dei “no”. Una certificazione vi permette di distinguervi dagli altri candidati e aumenta la visibilità del vostro CV. LinkedIn ha recentemente rivelato che inserire competenze certificate sul proprio profilo aumenta le visite fino al 600%.
Scegliere una certificazione linguistica
Scegliere un test riconosciuto per la certificazione linguistica può essere difficile, dipende dalla lingua, dato che ci potrebbero essere diversi test disponibili. Ai fini del vostro CV, l’aspetto principale da considerare è il rigore accademico del test. Un test di scarsa qualità non attesterà correttamente il vostro livello e metterlo sul CV non vi farà sembrare dei candidati affidabili. Per questo motivo è meglio attenersi ai test creati dalle organizzazioni internazionali tramite esperti nella valutazione della competenza linguistica.
Un’altra considerazione importante è ovviamente di natura pratica: costo e convenienza. I test di certificazione più affidabili costano oltre i 180 euro a sessione e si possono sostenere solo in date specifiche. Una eccezione è l’EFSET, un test di inglese online gratuito, che è stato creato sugli stessi standard degli altri test più importanti.
Inserire la certificazione linguistica nel proprio cv
Una volta in possesso della certificazione linguistica, dovete presentare il vostro punteggio in una forma che sia facile da capire. Raccomando di includere il nome del test, il punteggio ottenuto e un’indicazione del livello (ad esempio: “Intermedio”), nel caso in cui il datore di lavoro non sia familiare con il sistema di valutazione dei vari esami. Questo dimostra che possedete una competenza certificata e rende più semplice per un datore di lavoro capire i risultati.
Seguendo questo consiglio, la sezione dedicata alle competenze linguistiche sul vostro CV avrà più o meno questo aspetto:
* Francese: DELF B2 (Independant user)
*Inglese: EFSET 60 (Upper intermediate)
* Giapponese: JLPT N4 (capacità di comprendere il giapponese base)
E se non avete certificazioni?
Potreste ancora trovarvi senza certificazioni linguistiche. Questo vale soprattutto per le lingue diverse dall’inglese, per le quali non c’è nessun test di qualità disponibile gratuitamente. In questo caso, la vostra opzione migliore è quella di fare riferimento alle scale di valutazione create dalle agenzie governative e fare un self-assessment, cioè un’autovalutazione. In Europa, la scala standard si chiama CEFR mentre negli Stati Uniti ce ne sono due: ACTFL e ILR. Potete trovare scale standard e strumenti per l’autovalutazione, di solito presentati come una lista di competenze, nella maggioranza delle lingue.
Usate gli strumenti di autovalutazione per determinare il vostro livello in ogni lingua che parlate. Assicuratevi di includere anche una specificazione del livello. Ad esempio:
*Tedesco: CEFR B2 (Upper Intermediate)
Anche se queste scale di valutazione non sono ampiamente conosciute tra i datori di lavoro e l’autovalutazione non è notevole quanto un test ufficiale, sembrerà più professionale rispetto ad usare una indicazione generica del proprio livello, tipo “fluente” o “conversazionale”.
Includere altre rilevanti esperienze linguistiche
Se avete un’esperienza di lavoro o di studio rilevante in un’altra lingua, includetela in aggiunta alla certificazione sul vostro CV. Per esempio:
*5 anni di esperienza lavorativa con clienti inglesi
*un anno di scuola superiore in Giappone
Dimostrare che avete usato con successo una lingua in un contesto è sempre importante per un futuro datore di lavoro.
Quando non inserire competenze linguistiche sul proprio CV
Ci sono casi in cui è meglio non inserire sul CV dettagli sulle competenze linguistiche.
Livello principianti: In generale è meglio non inserire competenze linguistiche quando avete un livello da principianti. Non sarete in grado di lavorare davvero in queste lingue ed inserirle nel vostro CV vi fa sembrare meno professionali. L’eccezione esiste se avete un interesse personale ad imparare molte lingue e lo volete inserire nella sezione “hobby” o “Interessi personali”, invece di quella “competenze linguistiche” del CV.
Posizioni molto importanti: Nelle posizioni più importanti delle organizzazioni internazionali, la padronanza dell’inglese è data per scontata. In questo caso, inserire le proprie competenze linguistiche sul CV è superfluo.
Siate onesti
Quando scrivete il CV, è importante dimostrare il lato migliore di voi senza aver paura di inserire le proprie abilità. Per questo motivo, le persone sono a volte tentate di esagerare le loro competenze. Comunque, non essere sinceri sulle proprie competenze linguistiche vi danneggerà sempre in un contesto professionale. Anche se ottenete un colloquio attraverso un’affermazione falsa, il responsabile delle assunzioni lo scoprirà durante il colloquio, o sarete scoperti il primo giorno di lavoro e difficilmente manterrete il posto.
Se temete che le vostre competenze linguistiche non siano abbastanza buone, investite in qualche corso di lingua o provate alcune delle numerose risorse disponibili online. Durante un colloquio, potete parlare al manager della vostra preparazione in corso, i datori di lavoro sono sempre colpiti dai candidati che si impegnano davvero per migliorare le proprie competenze.
La lettera di presentazione, detta anche lettera di accompagnamento o di motivazione, è infatti un documento fondamentale da fornire alle aziende per riuscire ad ottenere un colloquio, ma anche in questo caso è necessario prestare attenzione ad alcuni aspetti che fanno la differenza. Ecco allora i 10 consigli utili per una candidatura completa ed efficace:
– Non scordatevi di allegare la lettera di presentazione: errore piuttosto diffuso e grave.
Rinunciare ad allegare una lettera di accompagnamento significa rinunciare ad inviare una presentazione completa alle aziende. Così, il selezionatore si troverà davanti solo il curriculum vitae, in cui sono riassunte le vostre competenze lavorative e la nostra vita professionale, ma che dice poco o niente sulle vostre personali motivazioni e sui vostri obiettivi di carriera.
Pertanto, ogni volta che si ha l’esigenza di inviare un curriculum vitae per la ricerca di un posto di lavoro, è bene allegare ad esso una lettera capace di presentarci in maniera efficace al responsabile del personale che la riceverà.
– Evitate il copia e incolla!
La lettera di motivazione non deve esser scritta per essere inviata indistintamente ad un gran numero di aziende. La lettera di accompagnamento andrebbe invece personalizzata per ogni singola azienda a cui vi rivolgete: le varie realtà aziendali sono tutte diverse tra loro, anche quelle che appartengono allo stesso settore, ognuna di esse merita quindi un testo ad hoc.
Ricordatevi: occorre differenziare per differenziarsi! Il che significa che dovreste personalizzare ogni vostra lettera di motivazione in base alle caratteristiche distintive della singola azienda a cui la inviate ed in base alla posizione per cui vi state candidando.
Vi suggeriamo alcune domande da porvi per centrare l’obiettivo: “Come posso far capire al selezionatore in poche righe che sono davvero motivato a voler ricoprire la posizione?”, “Come posso far capire che il mio profilo è adeguato a questa mansione?”, “Come posso trasferire nella lettera alcuni dei miei principali punti di forza personali e professionali?”, “Come posso convincere il responsabile del personale che, se assumerà me, dimostrerò di essere la persona giusta per risolvere i problemi dell’azienda ricoprendo quel determinato ruolo?”
– Cercate di scoprire chi è il destinatario della vostra lettera
Per fare un lavoro fatto bene, bisognerebbe scoprire, magari attraverso LinkedIn, il nome dell’addetto aziendale responsabile delle selezioni e intestare specificatamente a lui la lettera di motivazione.
A volte non si riesce a scoprire chi leggerà la lettera di accompagnamento ed il curriculum. In questi casi, bisogna pur intestare a qualcuno la lettera, ma chi è il giusto destinatario? Vi suggeriamo di scrivere: “Alla cortese attenzione del Direttore delle Risorse Umane o del Responsabile del Personale”, oppure, più in generale, inviatela all’Ufficio del Personale.
–Non si tratta di un romanzo!
I direttori del personale devono capire velocemente se un candidato è adatto o no ad una posizione lavorativa. Spesso, il tempo che dedicano alla valutazione di un curriculum e di una lettera di accompagnamento è di pochi secondi. Per questo motivo è bene non dilungarsi troppo: la sintesi è vista come una buona qualità anche in queste occasioni. Evitate perciò di scrivere una lettera di motivazione di due o più pagine, concentrate tutto in poche ma dense e significative righe.
–Curate con attenzione la sintassi
Il consiglio che vi vogliamo dare è quello di evitare qualsiasi errore di ortografia, di grammatica e di sintassi. La lettera di presentazione, ed il curriculum vitae, sono il nostro biglietto da visita. Bisogna perciò cercare di dare al selezionatore l’impressione migliore possibile. Se si scrive in maniera sciatta o addirittura sgrammaticata, si fallirà ed il CV sarà quasi sicuramente scartato.
Inoltre, la cura dedicata allo scrivere una lettera di accompagnamento può essere vista come un ulteriore interesse ed un’aggiuntiva motivazione del candidato nei confronti della posizione.
– Date grinta alla vostra lettera motivazionale!
Parola d’ordine: mostrare entusiasmo per il lavoro per cui ci si candida! Si ha l’obbligo di scrivere una lettera di accompagnamento che mostri un po’ di brio e di vivacità.
Da questo punto di vista, scegliete bene la frase di apertura della lettera: deve essere in grado di catturare l’attenzione del responsabile del personale che la legge. E prestate attenzione anche alla frase di chiusura: deve lasciare un’impressione favorevole, quasi memorabile. Insomma: è vietato annoiare chi legge! Anzi, lo scopo è quello di farsi percepire come una persona brillante, sveglia e dotata di vivacità intellettuale.
Le frasi di apertura e chiusura sono quelle più rilevanti, quelle che il personale guarda maggiormente, quindi cercate di giocarvela bene!
– Parlate sempre in prima persona
State parlando di voi stessi, quindi vi raccomandiamo di non scrivere in terza persona. Usare la terza persona è visto dalle risorse umane come un indicatore negativo, come se voleste nascondervi. Avete forse qualcosa da nascondere? Perciò, usate sempre la prima persona. Ed adoperate uno stile semplice, diretto, scorrevole. Evitate di essere eccessivamente formali o addirittura “burocratici”, fate trasparire il vostro carattere.
Inoltre chiudete sempre la lettera di motivazione ringraziando il selezionatore per l’attenzione che vi ha prestato nel leggerla: la buona educazione è sempre apprezzata.
– Cercate il tasto “Allega file”
Se state proponendo la vostra candidatura attraverso un sito web, fate in modo di allegare la vostra lettera di accompagnamento. Come? È semplice, nel modulo online che compilate dovrebbe esser presente un pulsante “Allega file” o comunque un tasto dalla funzione equivalente. Trovato? Bene, usate quello per unire la lettera motivazionale al vostro curriculum vitae elettronico. In questo modo avrete una candidatura completa ed efficace!
– Ricordatevi di inserire l’autorizzazione 196/2003
Se volete evitare che un’azienda si trovi nelle condizioni di non poter procedere con l’iter di selezione e vagliare così la coerenza della vostra candidatura con il lavoro che offre, inserite sempre la vostra autorizzazione al trattamento dei dati personali. Il rischio è quello che, senza autorizzazione da parte vostra, tutto si blocchi ed il selezionatore passi a valutare il curriculum successivo.
Dove inserirla esattamente e con quale formula? Mettetela alla fine del testo della vostra lettera e scrivete: “Autorizzo il trattamento dei dati personali contenuti nel mio curriculum vitae in base all’Art. 13 del D.Lgs. 196/2003”.
–Ultima cosa da fare: fate un autografo!
È assolutamente d’obbligo chiudere la vostra lettera motivazionale con la vostra firma autografa. In caso contrario, sembrerà che manchi qualcosa agli occhi del selezionatore del personale alla ricerca della persona giusta per la posizione lavorativa.
Tenete presente che le firme a mano hanno un calore e un’autenticità che le firme fatte con Word, o con altri strumenti elettronici, e poi stampate certamente non possiedono. Distinguetevi anche in questo!
Bene, fate tesoro di tutte queste regole se volete conquistare i vostri selezionatori! Vi auguriamo un in bocca al lupo!
Il Perito in Meccanica, Meccatronica ed Energia:
È in grado di
Nell’indirizzo sono previste le articolazioni “Meccanica e Meccatronica” ed “Energia”, nelle quali il profilo viene orientato e declinato.
A conclusione del percorso quinquennale, il Diplomato nell’indirizzo “Meccanica, Meccatronica ed Energia” consegue le seguenti competenze:
Profilo Professionale del Diplomato nell’Istituto Professionale con indirizzo “Servizi per l’enogastronomia e l’ospitalità alberghiera” con le specificità delle tre articolazioni: “Enogastronomia”, “Servizi di sala e di vendita” e “Accoglienza turistica”.
Il Diplomato di istruzione professionale nell’indirizzo “Servizi per l’enogastronomia e l’ospitalità alberghiera” ha specifiche competenze tecniche, economiche e normative nelle filiere dell’enogastronomia e dell’ospitalità alberghiera, nei cui ambiti interviene in tutto il ciclo di organizzazione e gestione dei servizi. È in grado di: • utilizzare le tecniche per la gestione dei servizi enogastronomici e l’organizzazione della commercializzazione, dei servizi di accoglienza, di ristorazione e di ospitalità; • organizzare attività di pertinenza, in riferimento agli impianti, alle attrezzature e alle risorse umane; • applicare le norme attinenti la conduzione dell’esercizio, le certificazioni di qualità, la sicurezza e la salute nei luoghi di lavoro; • utilizzare le tecniche di comunicazione e relazione in ambito professionale orientate al cliente e finalizzate all’ottimizzazione della qualità del servizio; • comunicare in almeno due lingue straniere; • reperire ed elaborare dati relativi alla vendita, produzione ed erogazione dei servizi con il ricorso a strumenti informatici e a programmi applicativi; • attivare sinergie tra servizi di ospitalità-accoglienza e servizi enogastronomici; • curare la progettazione e programmazione di eventi per valorizzare il patrimonio delle risorse ambientali, artistiche, culturali, artigianali del territorio e la tipicità dei suoi prodotti. L’indirizzo presenta le articolazioni: “Enogastronomia”, “Servizi di sala e di vendita” e “Accoglienza turistica”, nelle quali il profilo viene orientato e declinato. Nell’articolazione “Enogastronomia”, il Diplomato è in grado di intervenire nella valorizzazione, produzione, trasformazione, conservazione e presentazione dei prodotti enogastronomici; operare nel sistema produttivo promuovendo le tradizioni locali, nazionali e internazionali, e individuando le nuove tendenze enogastronomiche. Nell’articolazione “Servizi di sala e di vendita”, il diplomato è in grado di svolgere attività operative e gestionali in relazione all’amministrazione, produzione, organizzazione, erogazione e vendita di prodotti e servizi enogastronomici; interpretare lo sviluppo delle filiere enogastronomiche per adeguare la produzione e la vendita in relazione alla richiesta dei mercati e della clientela, valorizzando i prodotti tipici. Nell’articolazione “Accoglienza turistica”, il diplomato è in grado di intervenire nei diversi ambiti delle attività di ricevimento, di gestire e organizzare i servizi in relazione alla domanda stagionale e alle esigenze della clientela; di promuovere i servizi di accoglienza turistico-alberghiera anche attraverso la progettazione di prodotti turistici che valorizzino le risorse del territorio. A conclusione del percorso quinquennale, i Diplomati nell’indirizzo “Servizi per l’enogastronomia e l’ospitalità alberghiera” conseguono i risultati di apprendimento di seguito specificati in termini di competenze.
A conclusione del percorso quinquennale, i diplomati nelle relative articolazioni “Enogastronomia” e “Servizi di sala e di vendita”, conseguono i risultati di apprendimento di seguito specificati in termini di competenze.
Se nel campo dell’estetica c’è un settore che ha completamento rivoluzionato il mondo della manicure quello è sicuramente la Nail Art.
Nessuna sbavatura o sbeccatura del colore, giochi di fantasia, ritocco ogni tre settimane, unghie come vere e proprie opere d’arte. Le tendenze in fatto di Nail Art sono ricche e sfaccettate: stili multipli, possibilità di ricostruzione in gel o semipermente, applicazioni di glitter, piercing e strass.
La professione della Nail Art rientra nel ramo dell’onicotecnica, cioè rappresenta quella figura professionale che si occupa sostanzialmente della ricostruzione dell’unghia e allo stesso tempo si dedica alla sua decorazione. Ha dunque uno scopo semplicemente estetico dedito all’abbellimento della mano.
Ne consegue, quindi che per svolgere tale professione è necessario avere il diploma di estetista che si svolge in un corso di durata triennale su un totale di 1800 ore. Una volta ottenuta questa abilitazione è possibile esercitare la professione di onicotecnica, aprire un proprio nail center, lavorare presso centri specializzati o mettersi in società con esperti di bellezza.
Come si diventa parrucchiere/acconciatore
L’ultima categoria delle cosiddette professioni senza crisi viene individuata nella figura del parrucchiere/acconciatore o ancora definito come hair stylist.
Svolgere il lavoro di parrucchiere/acconciatore vuol dire mettere insieme competenze eterogenee che vanno dall’utilizzo di tecniche e strumenti per l’acconciatura e il taglio alla realizzazione di pettinature e colorazioni del capello.
Indagare le nuove tendenze, assecondare e interpretare i gusti e le esigenze del cliente, realizzare e riprodurre le più moderne tecniche di taglio, essere aggiornato sulle più recenti tecniche di colorazione,realizzare permanenti,stirature tecniche di degradè e balayage. Tutto questo fa del parrucchiere un lavoro dinamico e creativo,popolato da professionisti che trasformano in arte una certa predisposizione alla bellezza.
Quindi fantasia, creatività, predisposizione alla cura della bellezza e senso dell’estetica uniti a una buona e distinta preparazione e qualificazione completano il profilo professionale del parrucchiere/acconciatore.
Per diventare parrucchiere occorre frequentare un corso di qualificazione della durata di 2/3 anni al termine del quale l’allieva dovrà sostenere un esame tecnico-pratico. Il corso è finalizzato alla formazione completa dell’aspirante parrucchiere durante il quale avrà a disposizione testine per l’esercitazione al taglio e al colore. Al termine del corso verrà, dunque, rilasciato un attestato che permetterà all’aspirante parrucchiere/acconciatore di inserirsi in attività e compagnie di hairstyle già avviate oppure mettersi in proprio.